Proteste e tensioni al CPR di Torino: cronaca di una notte di rivolta

Nella notte tra il 1° e il 2 maggio, il Centro di Permanenza per il Rimpatrio (CPR) di Torino è stato teatro di una violenta protesta che ha riacceso il dibattito sulle condizioni dei migranti detenuti in queste strutture e sull’efficacia delle attuali politiche migratorie italiane.
La rivolta: fuoco, urla e feriti
Intorno alle 21 di mercoledì, nell’area Viola del centro di Corso Brunelleschi, alcuni detenuti hanno dato inizio alla protesta appiccando il fuoco ai materassi. Secondo fonti interne, la scintilla che ha innescato la rivolta sarebbe stata l’insostenibilità dei prezzi dei beni di prima necessità all’interno della struttura, dove un semplice pacchetto di biscotti può costare tra i sei e i sette euro.
Le fiamme si sono rapidamente propagate, generando panico e urla che i residenti della zona hanno descritto come “disumane”. Sono stati proprio gli abitanti del quartiere a chiamare i vigili del fuoco, mentre tre ambulanze sono accorse sul posto per soccorrere almeno tre feriti. Uno di loro avrebbe compiuto un gesto autolesionistico, mentre per gli altri due non è stato chiarito se le ferite siano state riportate durante la rivolta o negli scontri con le forze dell’ordine. Fonti non ufficiali suggeriscono che il bilancio dei feriti potrebbe essere più grave, con un continuo trasferimento di persone all’ospedale durante la notte.
Istituzioni tenute fuori: il caso del negato accesso
Un aspetto particolarmente controverso della vicenda riguarda il diniego dell’accesso al centro opposto alle rappresentanti istituzionali recatesi sul posto. Le consigliere comunali Sara Diena e Ludovica Cioria, la consigliera regionale Alice Ravinale e la consigliera della Circoscrizione 3 Francesca Troise si sono viste negare l’ingresso sia durante la notte che nelle ore successive, nonostante per i consiglieri regionali sia previsto per legge il diritto di accesso alle strutture pubbliche.
“È inaccettabile che le istituzioni democratiche non possano verificare le condizioni dei detenuti in una struttura sotto la responsabilità dello Stato”, ha dichiarato la consigliera regionale Ravinale. “La mancanza di trasparenza alimenta solo i sospetti sulle reali condizioni all’interno del centro.”
La solidarietà: il presidio spontaneo all’esterno
Mentre all’interno si consumava la rivolta, all’esterno delle mura del CPR si è formato un presidio spontaneo di solidarietà. Attivisti, cittadini e rappresentanti di diverse associazioni hanno manifestato al grido di “Freedom, hurriya, libertà”, esprimendo vicinanza alle persone recluse e chiedendo con forza la chiusura dei centri di detenzione per migranti.
“Queste strutture non sono altro che carceri per persone che non hanno commesso alcun reato, se non quello di cercare una vita migliore”, ha affermato un portavoce del collettivo No CPR durante il presidio. “Le condizioni di vita all’interno sono disumane e la privazione della libertà personale è una violazione sistematica dei diritti fondamentali.”
Le reazioni politiche: il sindaco chiede un cambio di rotta
Il sindaco di Torino, Stefano Lo Russo, non ha tardato a commentare l’accaduto, sottolineando l’inadeguatezza strutturale dei CPR e la necessità di ripensare radicalmente la gestione delle politiche migratorie.
“Quanto accaduto al CPR di Torino è la conferma che questi centri non rappresentano una soluzione efficace né dal punto di vista sociale né da quello economico”, ha dichiarato il primo cittadino. “La criminalizzazione dell’immigrazione e la detenzione amministrativa di persone che non hanno commesso reati non possono essere la risposta a un fenomeno complesso come quello migratorio. È necessario un cambio di paradigma che punti all’inclusione e alla regolarizzazione, non alla reclusione.”
Cosa sono i CPR: centri controversi
I Centri di Permanenza per il Rimpatrio, istituiti nel 2017 in sostituzione dei precedenti CIE (Centri di Identificazione ed Espulsione), sono strutture destinate al trattenimento di cittadini stranieri in attesa di esecuzione di provvedimenti di espulsione. Il tempo massimo di permanenza è di 90 giorni, estendibili in casi particolari.
Fin dalla loro istituzione, i CPR sono stati oggetto di critiche da parte di organizzazioni per i diritti umani, che denunciano condizioni di vita inadeguate, mancanza di assistenza sanitaria e legale, e violazioni sistematiche dei diritti fondamentali delle persone trattenute.
Il CPR di Torino: una storia di tensioni
Il centro di Corso Brunelleschi a Torino è stato più volte al centro di polemiche e proteste. Recentemente riaperto dopo un periodo di chiusura, la struttura è stata oggetto di critiche anche da parte di figure istituzionali come il Cardinale Roberto Repole, Arcivescovo di Torino, che ha espresso preoccupazione per la detenzione di persone che non hanno commesso reati.
“Non possiamo rassegnarci a rinchiudere chi non ha commesso reati. Dovremmo invece favorire la regolarizzazione e l’inserimento”, aveva dichiarato il Cardinale Repole in occasione della riapertura del centro nel marzo 2025.
Il futuro incerto dei CPR
L’episodio di Torino riapre il dibattito sull’efficacia e la legittimità dei Centri di Permanenza per il Rimpatrio. Da una parte, chi sostiene la necessità di queste strutture come strumento per gestire i flussi migratori irregolari; dall’altra, chi ne chiede la chiusura definitiva, considerandoli luoghi di detenzione ingiustificata e violazione dei diritti umani.
Nel frattempo, le organizzazioni per i diritti dei migranti annunciano nuove mobilitazioni per chiedere trasparenza sulle condizioni all’interno del CPR di Torino e, più in generale, un ripensamento delle politiche migratorie nazionali.
La notte di fuoco al CPR di Torino non è che l’ultimo episodio di una questione ben più ampia e complessa, che continua a dividere l’opinione pubblica e la politica italiana, in attesa di soluzioni più umane ed efficaci per gestire il fenomeno migratorio.
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