Paese di origine sicuro: le criticità di un concetto al centro delle politiche migratorie europee

Il concetto di “Paese di origine sicuro” (POS) sta assumendo un ruolo sempre più centrale nelle politiche migratorie europee, con implicazioni profonde per il diritto d’asilo e la tutela dei diritti fondamentali. La recente introduzione del protocollo Italia-Albania e la proposta della Commissione Europea di anticipare l’applicazione parziale del Regolamento procedure 2024/1348 sollevano interrogativi cruciali sulla compatibilità di queste misure con il diritto internazionale e i valori fondanti dell’Unione Europea.
Il protocollo Italia-Albania: l’asilo oltre confine
Nel primo trimestre del 2025, l’Italia ha avviato l’implementazione del controverso protocollo con l’Albania, che prevede l’esame delle domande di asilo presentate da cittadini provenienti da Paesi designati come “sicuri” in strutture situate in territorio albanese. Questo modello di gestione extra-territoriale rappresenta un precedente significativo nel panorama europeo.
La relazione governativa italiana di aprile 2025 evidenzia però contraddizioni significative. Da un lato, il documento certifica la “sicurezza” di determinati Paesi d’origine; dall’altro, riconosce l’esistenza in questi stessi Stati di “norme persecutorie” e “pratiche discriminatorie” nei confronti di specifiche categorie di persone.
I primi mesi di attuazione del protocollo hanno già sollevato criticità concrete. Organizzazioni per i diritti umani hanno documentato difficoltà nell’accesso all’assistenza legale qualificata per i richiedenti trasferiti in Albania, carenze nella disponibilità di interpreti adeguati e condizioni di accoglienza spesso al di sotto degli standard minimi garantiti dalla normativa europea.
“L’esternalizzazione delle procedure di asilo rischia di creare zone grigie in cui le garanzie procedurali possono essere significativamente ridotte“, afferma Marco Bianchi, giurista specializzato in diritto dell’immigrazione. “La Corte di Giustizia dell’Unione Europea ha più volte ribadito che le tutele previste dalla Carta dei diritti fondamentali devono essere assicurate indipendentemente dal luogo fisico in cui si svolgono le procedure“.
Il trasferimento dei richiedenti asilo in Albania solleva inoltre interrogativi sulla compatibilità con il principio di non-refoulement, pilastro del diritto internazionale dei rifugiati, che vieta di rimpatriare persone verso luoghi dove potrebbero subire persecuzioni o trattamenti inumani e degradanti.
La proposta della Commissione UE: anticipazione selettiva e criticità
Parallelamente all’iniziativa italiana, la Commissione Europea ha recentemente proposto di anticipare l’applicazione di alcune disposizioni del nuovo Regolamento procedure (2024/1348), la cui entrata in vigore è prevista per giugno 2026. In particolare, la proposta prevede l’introduzione anticipata di un elenco europeo di Paesi di origine sicuri che include, tra gli altri, Bangladesh, Colombia, Egitto, India, Kosovo, Marocco e Tunisia.
Questa iniziativa, presentata come misura necessaria per armonizzare le politiche migratorie europee, presenta però criticità significative. Innanzitutto, l’anticipazione riguarda esclusivamente gli aspetti più restrittivi del nuovo Regolamento (procedure accelerate, presunzione di sicurezza, riduzione delle garanzie difensive), senza prevedere l’implementazione anticipata delle tutele e dei bilanciamenti previsti dallo stesso testo normativo.
“Un’applicazione parziale del Regolamento rischia di creare squilibri nel sistema di asilo europeo“, osserva Laura Rossi, ricercatrice presso l’Osservatorio sui diritti dei migranti. “La designazione come Paese sicuro comporta conseguenze immediate sui diritti dei richiedenti, come la possibilità di procedure accelerate e l’inversione dell’onere della prova, ma le garanzie complementari non verrebbero anticipate“.
I criteri di “sicurezza”: tra valutazioni sommarie e realtà complesse
La questione più problematica riguarda i criteri adottati per definire un Paese come “sicuro”. Secondo il diritto dell’UE, un Paese può essere considerato sicuro solo se si può dimostrare che, in generale e costantemente, non si verificano persecuzioni, torture, trattamenti inumani o degradanti né minacce derivanti da violenza indiscriminata in situazioni di conflitto.
Tuttavia, le valutazioni che hanno portato all’inserimento di certi Paesi nell’elenco proposto dalla Commissione appaiono sommarie e in contrasto con le evidenze riportate da organismi internazionali indipendenti. L’Egitto, ad esempio, è stato incluso nell’elenco nonostante i rapporti delle Nazioni Unite documentino sistematiche violazioni dei diritti umani, inclusi casi di tortura e detenzioni arbitrarie. Analogamente, l’India è stata designata come “sicura” malgrado le crescenti preoccupazioni per la discriminazione delle minoranze religiose.
La relazione governativa italiana di aprile 2025 rivela ulteriori incongruenze. Alcuni Paesi sono stati classificati come “sicuri” nonostante la stessa relazione riconosca l’esistenza di legislazioni che criminalizzano l’omosessualità o pratiche discriminatorie verso le donne.
“Il concetto di Paese sicuro rischia di diventare uno strumento politico piuttosto che una valutazione obiettiva delle condizioni di sicurezza“, sottolinea Paolo Verdi, rappresentante di un’organizzazione non governativa attiva nella tutela dei diritti dei migranti. “Le valutazioni sembrano rispondere più a esigenze di controllo dei flussi migratori che a un’analisi rigorosa delle condizioni nei Paesi d’origine“.
Le implicazioni giuridiche: rischi di refoulement e diritto alla difesa
Le procedure accelerate applicate ai richiedenti provenienti da Paesi designati come sicuri comportano una significativa riduzione delle garanzie procedurali. I richiedenti dispongono di tempi ridotti per preparare la loro difesa, affrontano una presunzione di infondatezza della loro domanda e, in alcuni casi, possono vedere limitato il loro diritto a rimanere nel territorio durante l’esame dei ricorsi.
Questo approccio solleva preoccupazioni in merito alla compatibilità con l’articolo 33 della Convenzione di Ginevra, che vieta il refoulement, e con la giurisprudenza della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, che richiede un esame individuale e approfondito di ogni domanda di protezione internazionale.
“La designazione di un Paese come sicuro non dovrebbe mai esonerare le autorità dall’obbligo di esaminare attentamente le circostanze individuali di ciascun richiedente“, ricorda Elena Neri, giudice specializzata in diritto dell’immigrazione. “La Corte di Giustizia dell’UE ha ripetutamente sottolineato che le procedure accelerate non possono pregiudicare l’effettività del diritto d’asilo“.
Le incongruenze nella relazione governativa italiana potrebbero fornire la base per ricorsi contro la designazione stessa dei Paesi di origine sicuri, invocando la violazione dell’articolo 2-bis del decreto legislativo 25/2008, che richiede una valutazione dettagliata e fondata su informazioni precise e aggiornate.
Verso un possibile contenzioso europeo
L’elenco proposto dalla Commissione Europea potrebbe essere oggetto di contestazioni da parte di Stati membri o organizzazioni non governative, con possibili ricorsi alla Corte di Giustizia dell’UE per mancato rispetto delle procedure di valutazione previste dalla normativa europea.
Il Parlamento Europeo ha già espresso riserve sulla proposta, sottolineando la necessità di consultazioni adeguate e valutazioni approfondite prima di procedere alla designazione di Paesi terzi come sicuri. Alcuni gruppi parlamentari hanno evidenziato il rischio che considerazioni geopolitiche ed economiche possano prevalere sulla valutazione obiettiva delle condizioni di sicurezza.
“La tensione tra l’efficienza amministrativa e la tutela dei diritti fondamentali rappresenta una sfida centrale per il sistema europeo comune di asilo“, commenta Antonio Bianchi, docente di diritto dell’immigrazione. “Il rischio è che l’accelerazione delle procedure e l’esternalizzazione dell’asilo possano erodere progressivamente le garanzie riconosciute dal diritto internazionale e europeo“.
Conclusioni: un delicato equilibrio da preservare
Le recenti iniziative italiana ed europea in materia di Paesi di origine sicuri evidenziano un approccio sempre più orientato al controllo e alla restrizione, con potenziali ripercussioni sui diritti dei richiedenti asilo. La ricerca di efficienza nelle procedure non dovrebbe compromettere i principi fondamentali del diritto d’asilo, in particolare la valutazione individuale delle domande e la protezione contro il refoulement.
Il dibattito sui Paesi di origine sicuri riflette tensioni più ampie nelle politiche migratorie europee, divise tra l’imperativo della gestione dei flussi e il rispetto degli obblighi internazionali in materia di diritti umani. La sfida per i legislatori e i tribunali sarà quella di trovare un equilibrio che garantisca procedure efficienti senza sacrificare le tutele essenziali per le persone in cerca di protezione.
In questo contesto, il ruolo delle corti nazionali ed europee risulterà cruciale per assicurare che il concetto di “Paese sicuro” non diventi uno strumento per eludere le responsabilità degli Stati in materia di protezione internazionale, ma rimanga un meccanismo procedurale conforme ai valori fondanti dell’Unione Europea e al diritto internazionale dei rifugiati.
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