Protocollo Italia-Albania: il costo di un rimpatrio e il bilancio di un esperimento controverso

Il progetto di esternalizzazione della gestione migratoria tra Italia e Albania, nato come fiore all’occhiello della politica del governo Meloni, si trova oggi al centro di un acceso dibattito. Un recente bilancio presentato dal Ministro dell’Interno Matteo Piantedosi rivela numeri che sollevano interrogativi sull’efficacia e la sostenibilità economica dell’operazione.
I numeri del “modello Albania”
Secondo quanto annunciato su X dal Ministro Piantedosi, sono stati effettuati cinque nuovi rimpatri dal centro di Gjader e altri 22 da vari CPR italiani. Il bilancio complessivo dei rimpatri effettivi dall’Albania si attesta al 20%, per un totale di appena 9 persone. Un dato che l’opposizione non ha esitato a definire “irrisorio” rispetto alle ingenti risorse economiche investite nel progetto.
Il sistema ha mostrato evidenti criticità logistiche: 14 migranti, una volta giunti a Gjader, hanno presentato domanda d’asilo, rendendo necessario, secondo il protocollo bilaterale, il loro ritorno in Italia. Un continuo andirivieni che alcuni osservatori hanno paragonato a un “gioco dell’oca”, con significativi costi per il trasferimento navale.
Lo scontro istituzionale
La questione ha innescato un conflitto tra potere esecutivo e giudiziario quando il Tribunale di Roma non ha convalidato il trattenimento di 12 migranti nel centro albanese. Successivamente, lo stesso tribunale ha negato la convalida per altri 43 migranti, imponendone il ritorno in Italia.
La risposta del governo è stata duplice: da un lato, una dura critica nei confronti della magistratura; dall’altro, il ricorso alla Corte di Cassazione, che ha infine equiparato il CPR albanese a quelli italiani, stabilendo che i richiedenti asilo possano essere trattenuti in Albania durante l’esame delle loro domande.
I costi dell’operazione
Le cifre economiche sollevano seri dubbi sull’efficienza dell’intera operazione. Il finanziamento per la costruzione e gestione dei centri in Albania comporterà, secondo le stime riportate dal deputato Fabio Porta, un costo di quasi un miliardo di euro in cinque anni per le casse italiane.
Questo ingente investimento contrasta con i modesti risultati ottenuti: al 31 agosto 2024, solo 2.293 persone con ordine di espulsione erano state effettivamente rimpatriate dall’Italia, un numero in linea con i 3.275 del 2022. Di queste, 1.441 sono state rimpatriate in Tunisia, 362 in Albania e 212 in Egitto.
Un sistema in discussione
Gli esperti di immigrazione evidenziano come il sistema dei CPR abbia mostrato, negli anni, scarsa efficienza. Giuseppe Campesi dell’Università di Bari sottolinea come dal 2017 i rimpatri siano diminuiti mentre i costi sono aumentati, rendendo il processo sempre più coercitivo e meno efficace.
L’avvocato Salvatore Fachile, legale di un migrante marocchino coinvolto nel procedimento, ha definito la sentenza della Cassazione “un grave errore”, promettendo di continuare la battaglia legale per i diritti dei migranti.
Prospettive future
Nonostante le criticità, il governo italiano continua a difendere il “modello Albania” come un esempio innovativo di gestione migratoria, apprezzato, secondo Piantedosi, anche a livello europeo.
Resta da vedere se i nuovi strumenti legali e politici adottati, insieme agli accordi bilaterali con i paesi di origine, riusciranno a migliorare l’efficienza del sistema o se, come sostiene l’opposizione, queste “cattedrali nel deserto” rappresentino principalmente un costoso strumento di propaganda politica piuttosto che una soluzione sostenibile al complesso fenomeno migratorio.
In un contesto dove sono in gioco sia le risorse pubbliche che i diritti fondamentali delle persone, il dibattito sul “modello Albania” continua a polarizzare l’opinione pubblica italiana, riflettendo le profonde divisioni su come affrontare una delle sfide più significative del nostro tempo.
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