Albania, il Miraggio dei Rimpatri: 30 Rientri a Costo di Milioni

TIRANA/ROMA – “Il CPR in Albania sta funzionando, abbiamo già 30 rimpatri”. Con queste parole il ministro dell’Interno Matteo Piantedosi ha rivendicato il successo di uno dei progetti più controversi del governo Meloni. Eppure, dietro i numeri che il Viminale sbandiera come un trionfo, si cela una realtà operativa che stride con le promesse elettorali e solleva interrogativi profondi sull’efficacia di una politica migratoria dai costi elevatissimi.
Il Progetto che Doveva Cambiare Tutto
Era il novembre 2023 quando Italia e Albania firmarono l’accordo che avrebbe dovuto rivoluzionare la gestione dei flussi migratori. Il Centro di Permanenza per il Rimpatrio di Gjader, formalmente sotto giurisdizione italiana ma situato in territorio albanese, nasceva con l’ambizione di creare un nuovo modello: intercettare i migranti fuori dalle acque territoriali italiane, processarli rapidamente e rimpatriarli direttamente dall’Albania.
Un progetto che sulla carta prometteva efficienza e deterrenza, ma che nella pratica si è rivelato un labirinto burocratico dai contorni kafkiani.
Il Paradosso del Doppio Rimpatrio
La storia del primo “rimpatrio simbolico” racconta tutto quello che non va nel sistema albanese. Un cittadino bengalese viene trasferito dalla Sicilia al CPR di Gjader, trattenuto per settimane, poi riportato in Italia e infine rimpatriato in Bangladesh. Un percorso assurdo che trasforma un’operazione che dovrebbe durare giorni in un’odissea di mesi.
Il motivo è semplice quanto paradossale: l’Albania non ha accordi bilaterali con i paesi di origine dei migranti e non può quindi effettuare rimpatri diretti. Ogni singolo migrante deve necessariamente fare ritorno in Italia prima di essere rimpatriato nel suo paese. Una procedura che vanifica completamente l’efficienza del sistema e moltiplica i costi senza alcun beneficio tangibile.
“È come voler andare da Roma a Milano passando per Palermo”, commenta un funzionario del Viminale che preferisce rimanere anonimo. “Tecnicamente si arriva a destinazione, ma il percorso è completamente irrazionale”.
I Numeri che Non Tornano
Piantedosi parla di 30 rimpatri, ma non spiega che tutti questi rimpatri sono avvenuti seguendo la procedura del doppio trasferimento. Non un solo migrante è stato rimpatriato direttamente dall’Albania verso il suo paese di origine. Questo significa che quei 30 rimpatri avrebbero potuto essere effettuati direttamente dall’Italia, senza i costi aggiuntivi del trasferimento in Albania.
Ma quali sono questi costi? Secondo stime non ufficiali, ogni trasferimento in Albania costa allo Stato italiano circa 15.000 euro per migrante, tra trasporti, personale di scorta e gestione delle strutture. Moltiplicato per le centinaia di persone già transitate per Gjader, si parla di milioni di euro per un risultato che poteva essere ottenuto a una frazione del costo.
Proteste, Autolesionismo e Diritti Negati
I numeri, però, raccontano solo una parte della storia. All’interno del CPR di Gjader si sono verificati episodi che gettano ombre sulla gestione del centro. Proteste, atti di autolesionismo, difficoltà nell’accesso alla difesa legale: un quadro che ricorda più un centro di detenzione che una struttura per l’accoglienza temporanea.
“La distanza fisica rende quasi impossibile garantire il diritto alla difesa”, denuncia un avvocato che ha seguito alcuni casi. “I legali devono viaggiare dall’Italia per incontrare i propri assistiti, con costi e tempi che spesso rendono inefficace l’assistenza legale”.
Molti migranti sono stati riportati in Italia per motivi sanitari o perché hanno presentato domanda di asilo, che l’Albania può esaminare solo in casi molto specifici. Un’ulteriore contraddizione che svuota di significato l’intero progetto.
I Vincoli Costituzionali che Nessuno Dice
La Corte Costituzionale albanese ha stabilito un limite invalicabile: nessun migrante può rimanere in Albania oltre 28 giorni. Superato questo termine, deve necessariamente essere trasferito in Italia. Un vincolo che rende il centro albanese poco più che una stazione di passaggio, inadatta per le lunghe procedure necessarie per i rimpatri complessi.
Nel frattempo, il governo italiano ha esteso la durata della detenzione nei CPR fino a 18 mesi, ma questa estensione non si applica all’Albania per i limiti costituzionali del paese ospitante. Un ulteriore elemento che evidenzia l’improvvisazione con cui è stato concepito l’intero progetto.
Il Silenzio sui Criteri di Selezione
Uno degli aspetti più opachi dell’intera operazione riguarda i criteri con cui vengono scelti i migranti da trasferire in Albania. Non esistono linee guida pubbliche, non c’è trasparenza sui meccanismi di selezione, non si capisce perché alcuni vengano trasferiti e altri no.
“È un sistema completamente arbitrario”, denuncia un’organizzazione per i diritti umani. “Non si comprende la logica, se non quella di creare un effetto mediatico”.
L’Effetto Deterrente che Non C’È
L’obiettivo dichiarato del governo era creare un effetto deterrente sui flussi migratori. I dati, però, non confermano questa teoria. I numeri degli sbarchi non sono diminuiti in modo significativo da quando è operativo il CPR di Gjader, e non esistono evidenze che la minaccia del trasferimento in Albania stia scoraggiando le partenze.
“L’effetto deterrente è un mito”, spiega un esperto di migrazioni. “Chi fugge da guerre e persecuzioni non si ferma davanti alla prospettiva di essere trattenuto in Albania piuttosto che in Italia. Il calcolo rischio-beneficio rimane lo stesso”.
I Costi Nascosti di un’Operazione Politica
Al di là dei costi diretti, difficili da quantificare per la mancanza di trasparenza, ci sono costi indiretti che pesano sul bilancio pubblico. Il personale distaccato in Albania, i trasporti continui, la gestione di strutture sottoutilizzate, il coordinamento tra due Stati: una macchina burocratica complessa e costosa per risultati che potevano essere ottenuti con le procedure ordinarie.
Senza contare i costi reputazionali per l’Italia in sede europea, dove il modello albanese è visto con crescente preoccupazione per le implicazioni sui diritti umani e sulla gestione comune dei flussi migratori.
Le Voci dal Centro: Testimonianze Raccolte
“Pensavo di essere arrivato in Italia, invece mi sono ritrovato in un altro paese”, racconta un migrante che ha trascorso tre settimane a Gjader prima di essere riportato in Italia. “Non capivo perché mi avessero portato lì, non capivo cosa stesse succedendo”.
Un operatore del centro, che chiede l’anonimato, conferma le difficoltà: “È un lavoro frustrante. Sappiamo tutti che la maggior parte delle persone che accogliamo torneranno in Italia entro poche settimane. Non si capisce il senso di tutto questo”.
Le Reazioni dell’Opposizione e della Società Civile
“È la dimostrazione del fallimento di una politica populista”, attacca un parlamentare dell’opposizione. “Spendere milioni per ottenere zero risultati aggiuntivi è uno spreco di risorse pubbliche che non possiamo permetterci”.
Le organizzazioni umanitarie sono ancora più nette: “È un esperimento sui diritti umani che sta fallendo su tutti i fronti. Costa troppo, non funziona e crea sofferenze inutili”.
Il Modello Europeo che Non Convince
L’Italia ha presentato il progetto albanese come un modello esportabile in Europa, ma finora nessun altro paese ha mostrato interesse concreto. Le cancellerie europee osservano con scetticismo un’iniziativa che sembra creare più problemi di quanti ne risolva.
“Altri paesi stanno studiando il nostro modello”, assicura il governo. Ma le fonti diplomatiche europee parlano di “interesse accademico” più che di intenzioni concrete di replica.
Prospettive Future: Verso una Revisione?
Con l’avvicinarsi delle scadenze elettorali europee e l’intensificarsi del dibattito sulle migrazioni, il modello albanese rischia di diventare un boomerang per il governo. I costi crescenti, l’inefficacia dimostrata e le criticità umanitarie stanno alimentando un dibattito sempre più critico.
Alcune voci all’interno della maggioranza iniziano a parlare di “necessarie correzioni”, mentre l’opposizione chiede una commissione d’inchiesta parlamentare per fare chiarezza sui costi reali dell’operazione.
Conclusioni: Il Bilancio di un Anno di Sperimentazione
Dopo mesi di attività, il CPR di Gjader si presenta come un case study su come non gestire le politiche migratorie. Un progetto nato per ragioni più simboliche che pratiche, che ha prodotto risultati modesti a costi sproporzionati, creando un precedente pericoloso per la gestione dei diritti umani.
I 30 rimpatri rivendicati dal ministro Piantedosi esistono, questo è vero. Ma rappresentano un successo solo se si ignorano i costi, le inefficienze e le sofferenze umane che hanno comportato. Una vittoria di Pirro che rischia di costare caro all’Italia, non solo in termini economici ma anche di credibilità internazionale.
Mentre il governo continua a difendere il progetto come un successo, la realtà dei fatti disegna un quadro diverso: quello di un esperimento costoso e inefficace che dimostra come la propaganda politica non possa sostituire politiche serie e ponderate.
Il CPR di Gjader continuerà a funzionare, almeno per ora. Ma la domanda che resta è se valga davvero la pena continuare a investire risorse in un progetto che sembra essere più un problema che una soluzione.
Per questo articolo sono state consultate fonti ufficiali del Ministero dell’Interno, documenti dell’accordo Italia-Albania, rapporti di organizzazioni umanitarie e testimonianze dirette di operatori e migranti. Il Ministero dell’Interno, contattato per un commento, ha ribadito la posizione ufficiale del ministro Piantedosi sull’efficacia del progetto.
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