Trenta migranti trasferiti in Albania: il protocollo Roma-Tirana si espande oltre i richiedenti asilo

Il 27 maggio 2025, il porto di Brindisi ha assistito a una scena ormai diventata ricorrente: la partenza della nave militare Spica della Marina Italiana, diretta verso le coste albanesi con a bordo trenta migranti destinati al centro di permanenza e rimpatrio di Gjader. Questo terzo trasferimento dall’Italia verso l’Albania nell’ambito del controverso protocollo Roma-Tirana non è però una semplice ripetizione dei precedenti viaggi. Rappresenta invece l’attuazione concreta di una strategia governativa che ha subito modifiche sostanziali, ampliando significativamente il campo d’azione dei centri albanesi.
Numeri e capacità in crescita
Con l’arrivo di questi ultimi trenta migranti, provenienti dai centri di permanenza per il rimpatrio italiani, la struttura di Gjader ospita ora circa cinquanta persone. Un numero che testimonia l’intensificazione dell’utilizzo di questa infrastruttura, la cui capienza è stata quasi raddoppiata negli ultimi mesi: dai 44 posti iniziali si è passati a 96, secondo quanto riferito dalle autorità durante l’ultimo monitoraggio.
L’incremento della capacità ricettiva non è casuale, ma risponde a una strategia più ampia che il governo italiano ha delineato per gestire i flussi migratori. Il precedente trasferimento risaliva all’11 aprile, sempre dal porto pugliese di Brindisi, suggerendo una cadenza che potrebbe intensificarsi nei prossimi mesi.
La svolta normativa: dai richiedenti asilo agli “irregolari”
Il cambiamento più significativo riguarda però la destinazione d’uso dei centri albanesi. La concezione originaria del protocollo prevedeva che le strutture fossero destinate esclusivamente ai richiedenti asilo provenienti da cosiddetti “paesi sicuri”, persone che non erano mai entrate fisicamente in territorio italiano e che avrebbero dovuto svolgere in detenzione le procedure di frontiera per l’esame accelerato della richiesta di protezione internazionale.
Questa impostazione iniziale si è scontrata con la realtà giudiziaria italiana. Il blocco dei tribunali italiani e l’attesa di una sentenza della Corte di giustizia dell’Unione Europea hanno spinto il governo a una mossa audace: a fine marzo è stato varato un decreto che permette di trasferire a Gjader anche migranti definiti “irregolari”, deportandoli direttamente dal territorio nazionale.
Le modifiche legislative e i “trattenimenti a catena”
La legge di conversione del decreto, approvata la scorsa settimana con voto di fiducia in Parlamento, ha introdotto ulteriori novità che ridisegnano completamente il quadro normativo. Tra le innovazioni più controverse, spicca l’estensione della definizione di “procedure di frontiera” anche alle situazioni di trattenimento di migranti che presentano richiesta d’asilo in zone di confine o transito, come appunto Gjader.
Questo espediente normativo mira esplicitamente ad aggirare le sentenze della Corte d’appello di Roma, che avevano evidenziato contraddizioni tra il protocollo e la legge di ratifica modificata dal decreto. Ma è un’altra innovazione a sollevare le maggiori preoccupazioni tra i giuristi e le organizzazioni per i diritti umani: la possibilità di richiedere una seconda convalida del trattenimento in caso di bocciatura della prima da parte del giudice.
Questa pratica, definita criticamente “trattenimenti a catena”, è ora prevista esplicitamente dalla legge e rappresenta un precedente significativo nel panorama giuridico italiano ed europeo.
Questioni aperte e compatibilità europea
Le modifiche introdotte dal governo sollevano interrogativi profondi sulla compatibilità con le direttive europee e sulla coerenza rispetto all’accordo iniziale tra Italia e Albania. Gli esperti di diritto dell’immigrazione si dividono sull’interpretazione delle nuove norme, mentre le organizzazioni umanitarie denunciano quello che considerano un progressivo svuotamento delle garanzie procedurali per i richiedenti asilo.
La questione assume particolare rilevanza in un momento in cui l’Unione Europea sta rivedendo il proprio approccio alle politiche migratorie. Il protocollo Italia-Albania potrebbe diventare un test case per verificare fino a che punto gli Stati membri possano spingersi nell’esternalizzazione delle procedure d’asilo, mantenendo il rispetto dei diritti fondamentali sanciti dalla Carta dei diritti fondamentali dell’UE.
Impatti umanitari e prospettive future
Dietro i numeri e le procedure burocratiche si celano storie umane di particolare complessità. I trenta migranti partiti da Brindisi si trovano ora in una situazione giuridica ibrida: fisicamente in Albania, ma sottoposti alla giurisdizione italiana, in attesa di procedure che potrebbero durare mesi o anni.
Le condizioni di detenzione a Gjader, pur rispettando gli standard internazionali secondo le autorità italiane, rappresentano comunque una forma di privazione della libertà per persone che, in molti casi, non hanno commesso alcun reato se non quello di cercare protezione internazionale.
Una strategia in evoluzione
Il trasferimento del 27 maggio segna quindi un momento di svolta nel protocollo Italia-Albania. Non si tratta più di un esperimento limitato ai richiedenti asilo da paesi sicuri, ma di una strategia sistematica che potrebbe essere estesa e replicata. Le modifiche normative appena approvate forniscono al governo gli strumenti legali per ampliare ulteriormente l’utilizzo dei centri albanesi, superando gli ostacoli giudiziari che avevano inizialmente limitato l’efficacia del protocollo.
La partenza della nave Spica dal porto di Brindisi rappresenta così molto più di un semplice trasferimento di migranti: è il simbolo di un nuovo approccio alla gestione dei flussi migratori che potrebbe ridefinire gli equilibri tra sovranità nazionale, obblighi internazionali e diritti umani.
Mentre la nave prosegue la sua rotta verso Shengjin, le implicazioni di questa evoluzione continueranno a riverberarsi nei tribunali, nelle cancellerie europee e, soprattutto, nelle vite delle persone coinvolte in questo complesso meccanismo di controllo delle frontiere che si estende ben oltre i confini nazionali.
L’operazione si inserisce in una fase di forte tensione tra esigenze di controllo migratorio, rispetto delle sentenze giudiziarie e tutela dei diritti fondamentali delle persone migranti, ridefinendo il panorama delle politiche di asilo e immigrazione in Italia e in Europa.
Richiedi Una Consulenza Gratuita: