Morte nel CPR di Restinco: il caso di Abel Okubor riaccende il dibattito sui centri per migrant

Morte nel CPR di Restinco: il caso di Abel Okubor riaccende il dibattito sui centri per migrant

La tragica scomparsa di Abel Okubor, cittadino nigeriano di circa 35-37 anni, avvenuta nella notte tra l’1 e il 2 maggio 2025 all’interno del Centro di Permanenza per il Rimpatrio (CPR) di Restinco, nella provincia di Brindisi, ha riacceso i riflettori sulle condizioni di vita all’interno di queste strutture e sulla gestione del fenomeno migratorio in Italia.

Le circostanze del decesso

Secondo le prime ricostruzioni, Okubor è stato trovato privo di vita nella sua stanza durante un controllo di routine effettuato dal personale del centro. Nonostante il tempestivo intervento dei soccorsi, per l’uomo non c’è stato nulla da fare. Le cause del decesso rimangono ancora da chiarire ufficialmente, ma le ipotesi principali al vaglio degli inquirenti sono due: un arresto cardiaco improvviso o un’overdose da farmaci. L’autopsia, disposta dalla Procura di Brindisi, sarà determinante per fare luce sulle esatte circostanze della morte.

Reazioni politiche e istituzionali

La notizia ha immediatamente provocato reazioni nel panorama politico italiano. Il deputato del Partito Democratico Claudio Stefanazzi ha espresso pubblicamente i suoi dubbi sulla trasparenza della gestione del CPR di Restinco, chiedendo un’indagine approfondita e l’accesso ai documenti relativi alle condizioni sanitarie dei trattenuti. “Non possiamo permettere che persone muoiano nell’indifferenza all’interno di strutture statali,” ha dichiarato Stefanazzi in un comunicato stampa.

Ancora più duro l’intervento di Maurizio Acerbo, esponente di Rifondazione Comunista, che ha definito i CPR come “moderni lager” dove i diritti umani vengono sistematicamente violati. “La morte di Abel Okubor non è un caso isolato, ma il risultato di un sistema disumano che tratta i migranti come criminali,” ha affermato Acerbo.

Il Ministero dell’Interno, attraverso un comunicato ufficiale, ha espresso cordoglio per la morte di Okubor e assicurato massima collaborazione con le autorità giudiziarie per accertare le cause del decesso, ribadendo al contempo che “i CPR operano nel pieno rispetto della normativa nazionale ed europea in materia di trattenimento dei migranti irregolari.”

Le condizioni di vita nei CPR

Il CPR di Restinco, come altri centri simili in Italia, è da tempo oggetto di critiche da parte di organizzazioni per i diritti umani e associazioni che si occupano di migranti. Secondo un rapporto pubblicato recentemente da Medici per i Diritti Umani (MEDU), le condizioni di vita all’interno di queste strutture sono spesso al limite della dignità umana, con problemi di sovraffollamento, scarsa assistenza sanitaria e condizioni igieniche precarie.

Particolarmente allarmante è il dato relativo all’uso di psicofarmaci. Secondo testimonianze raccolte da operatori sociali e volontari, oltre il 50% delle persone trattenute nel centro di Restinco fa regolarmente uso di questi medicinali, un indicatore significativo del profondo disagio psicologico che caratterizza la vita all’interno del CPR. Questo dato solleva interrogativi sulla gestione sanitaria e psicologica dei migranti in attesa di rimpatrio.

Il contesto più ampio dei CPR in Italia

I Centri di Permanenza per il Rimpatrio sono strutture istituite per trattenere i cittadini stranieri destinatari di un provvedimento di espulsione che non può essere immediatamente eseguito. La permanenza in questi centri può durare fino a sei mesi, periodo durante il quale le autorità dovrebbero completare le procedure per il rimpatrio.

Tuttavia, nella pratica, questi centri sono diventati luoghi di detenzione prolungata dove i migranti vivono in uno stato di incertezza e precarietà. Secondo i dati del Garante nazionale dei diritti delle persone private della libertà personale, solo una minoranza dei trattenuti viene effettivamente rimpatriata, mentre la maggior parte viene rilasciata dopo mesi di detenzione amministrativa.

Le voci della società civile

La morte di Abel Okubor ha mobilitato anche la società civile. La Rete No CPR, un coordinamento di associazioni e attivisti che chiede la chiusura di questi centri, ha organizzato una manifestazione davanti al CPR di Restinco per il prossimo weekend, mentre un presidio di solidarietà si è già formato spontaneamente nelle ore successive alla diffusione della notizia.

“Quello che è successo ad Abel poteva essere evitato,” ha dichiarato Maria Rosaria Lomurno, portavoce della Rete No CPR. “Chiediamo un’indagine indipendente e trasparente, ma soprattutto un ripensamento radicale del sistema di accoglienza e gestione dei migranti in Italia.”

Il precedente del CPR di Restinco

Il centro di Restinco non è nuovo a episodi controversi. Nel settembre 2024, un’inchiesta giornalistica aveva documentato casi di maltrattamenti e negligenze all’interno della struttura, portando all’apertura di un’indagine da parte della magistratura. L’inchiesta, però, non ha ancora portato a provvedimenti concreti.

La morte di Abel Okubor rappresenta quindi l’ennesimo campanello d’allarme su un sistema che, secondo molti osservatori, necessita di una profonda riforma. Una riforma che dovrebbe partire dal riconoscimento della dignità e dei diritti fondamentali di ogni persona, indipendentemente dal suo status giuridico.

Conclusioni e prospettive

In attesa dei risultati dell’autopsia, che dovrebbero essere disponibili nei prossimi giorni, il caso di Abel Okubor continua a sollevare interrogativi sulla trasparenza e l’adeguatezza dei Centri di Permanenza per il Rimpatrio. La sua morte non è solo una tragedia personale, ma un evento che mette in discussione l’intero sistema di gestione dei migranti irregolari in Italia.

È auspicabile che questo triste episodio possa servire da stimolo per un dibattito serio e costruttivo sulle politiche migratorie italiane, che vada oltre le contrapposizioni ideologiche e si concentri sulla ricerca di soluzioni che garantiscano il rispetto dei diritti umani e la dignità di tutte le persone coinvolte.

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