Tragedia nel Mediterraneo centrale: 60 dispersi in due naufragi al largo della Libia

Il primo naufragio si è verificato il 12 giugno nelle acque antistanti Alshab, nella Libia occidentale. L’imbarcazione, partita dalla regione di Tripoli, trasportava presumibilmente 26 persone quando è affondata nelle acque del Mediterraneo centrale. I soccorsi sono riusciti a salvare soltanto cinque persone, mentre per le altre 21 non c’è stata salvezza.
Le modalità del naufragio rispecchiano tristemente quelle di centinaia di altre tragedie simili: imbarcazioni precarie, sovraccariche, affidate a trafficanti senza scrupoli che mettono a repentaglio la vita di persone disperate in cerca di una vita migliore.
Il secondo naufragio: 39 dispersi a est di Tobruk
Appena ventiquattro ore dopo, il 13 giugno, si è consumata una seconda tragedia nelle acque a ovest di Tobruk, nella Libia orientale. L’imbarcazione era partita il giorno precedente dal porto di Tobruk con a bordo 40 persone. Secondo la testimonianza dell’unico sopravvissuto, 39 migranti risultano dispersi e presumibilmente morti.
La testimonianza di quest’unico superstite rappresenta spesso l’unica fonte di informazione su questi drammi che si consumano nel silenzio del mare, lontano dagli occhi del mondo.
Un bilancio drammatico
I numeri forniti dall’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni (OIM) restituiscono la portata di questa emergenza umanitaria. Dall’inizio del 2025, almeno 538 migranti hanno perso la vita nella sola rotta del Mediterraneo centrale, quella che collega le coste nordafricane all’Italia e a Malta.
Se si allarga lo sguardo a tutto il bacino mediterraneo, includendo anche le rotte occidentale e orientale, il bilancio delle vittime sale ad almeno 743 morti e dispersi nei primi cinque mesi e mezzo dell’anno. Un numero che, per quanto drammatico, rappresenta probabilmente solo la punta dell’iceberg di una tragedia molto più vasta, considerando che molti naufragi avvengono senza testimoni e senza che se ne abbia mai notizia.
Parallelamente a queste morti, oltre 10.600 persone sono state intercettate in mare dalle autorità libiche e riportate forzatamente nel paese nordafricano, dove spesso finiscono rinchiuse in centri di detenzione dalle condizioni disumane.
Perché il Mediterraneo centrale è così letale
La rotta del Mediterraneo centrale si è guadagnata il tragico primato di “cimitero del mondo” per una serie di fattori che la rendono particolarmente pericolosa:
Imbarcazioni inadeguate e sovraffollamento
Le organizzazioni criminali che gestiscono il traffico di esseri umani utilizzano imbarcazioni di fortuna, spesso gommoni o barche di legno in pessime condizioni, progettate per trasportare un numero molto inferiore di persone rispetto a quelle che effettivamente vi vengono ammassate. Il sovraffollamento rende questi mezzi estremamente instabili e vulnerabili alle condizioni meteorologiche avverse.
Distanze e condizioni del mare
La traversata dal Nord Africa all’Europa attraverso il Mediterraneo centrale comporta percorrenze di centinaia di chilometri in mare aperto, spesso con condizioni meteorologiche difficili. Le imbarcazioni di fortuna utilizzate dai trafficanti non sono assolutamente adeguate ad affrontare simili distanze e condizioni.
Difficoltà nelle operazioni di soccorso
Le operazioni di salvataggio in mare sono rese sempre più complicate da una serie di fattori. Le normative europee e nazionali sempre più restrittive nei confronti delle organizzazioni non governative che operano nel soccorso in mare hanno progressivamente ridotto la presenza di navi civili dedicate al salvataggio.
La cosiddetta “criminalizzazione” delle ONG, attraverso normative che limitano le loro attività e sequestrano le loro imbarcazioni, ha creato un vuoto nelle operazioni di soccorso che spesso si rivela fatale per chi si trova in difficoltà in mare.
Ritardi nelle comunicazioni e nei soccorsi
I sistemi di comunicazione e coordinamento dei soccorsi spesso non funzionano adeguatamente, causando ritardi che possono risultare fatali. La mancanza di un sistema efficace di sorveglianza e primo soccorso fa sì che molte imbarcazioni in difficoltà non vengano individuate tempestivamente.
Il contesto della crisi migratoria
Questi naufragi non sono eventi isolati, ma si inseriscono in una crisi migratoria strutturale che ha radici profonde e complesse. La mancanza di canali legali e sicuri per chi cerca protezione internazionale costringe migliaia di persone a intraprendere viaggi pericolosissimi affidandosi ai trafficanti.
Le politiche europee e internazionali degli ultimi anni si sono concentrate prevalentemente sul contenimento dei flussi migratori piuttosto che sulla creazione di alternative sicure e legali. Questo approccio, oltre a risultare spesso inefficace nel contenere effettivamente i flussi, contribuisce a renderli più pericolosi.
La cooperazione con i paesi di origine e di transito, come la Libia, si è spesso rivelata problematica. I centri di detenzione libici sono stati più volte denunciati da organizzazioni internazionali per le condizioni disumane in cui versano i migranti, eppure l’Europa continua a finanziare le autorità libiche per intercettare e riportare indietro chi tenta la traversata.
Le conseguenze umanitarie
Dietro ogni numero, dietro ogni statistica, ci sono storie umane tragicamente interrotte. I migranti che perdono la vita nel Mediterraneo sono spesso giovani, talvolta minori non accompagnati, che fuggono da guerre, persecuzioni, povertà estrema o cambiamenti climatici che hanno reso impossibile la sopravvivenza nei loro paesi d’origine.
Le famiglie di queste persone spesso non sapranno mai cosa è accaduto ai loro cari, condannate a vivere nell’incertezza e nel dolore di una perdita senza corpo, senza sepoltura, senza chiusura.
Le responsabilità e le possibili soluzioni
La comunità internazionale e l’Europa in particolare si trovano di fronte a una sfida che richiede un cambio di paradigma nelle politiche migratorie. È necessario:
Creare canali legali e sicuri per chi cerca protezione internazionale, attraverso programmi di reinsediamento, visti umanitari, ricongiungimenti familiari allargati e altre forme di mobilità legale.
Potenziare le operazioni di soccorso in mare, garantendo una presenza costante di mezzi di soccorso nelle zone più critiche del Mediterraneo e facilitando piuttosto che ostacolare l’opera delle organizzazioni umanitarie.
Investire nella cooperazione con i paesi d’origine, non solo per il controllo delle frontiere ma per affrontare le cause profonde delle migrazioni forzate: conflitti, povertà, cambiamento climatico, violazioni dei diritti umani.
Rivedere gli accordi con i paesi di transito come la Libia, condizionando la cooperazione al rispetto dei diritti umani e delle convenzioni internazionali.
Conclusioni
I 60 dispersi tra il 12 e il 13 giugno 2025 si aggiungono a una lista già troppo lunga di vittime del Mediterraneo. Ogni naufragio dovrebbe costituire un monito per la comunità internazionale sulla necessità di un approccio diverso alla questione migratoria.
Come sottolinea l’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni, “la rotta del Mediterraneo centrale continua a confermarsi una delle più pericolose al mondo per chi tenta la traversata”. Questo non è un dato inevitabile della natura, ma il risultato di precise scelte politiche che possono e devono essere cambiate.
La tragedia del Mediterraneo non è solo una questione di numeri o di politiche migratorie: è una questione di civiltà, di rispetto per la dignità umana, di capacità di costruire un mondo in cui nessuno sia costretto a mettere a rischio la propria vita per cercare un futuro migliore.
Finché il Mare Nostrum continuerà a inghiottire vite umane, finché il Mediterraneo rimarrà il cimitero di chi cerca speranza, la coscienza dell’Europa e del mondo intero non potrà dirsi tranquilla.