Centri Albania, svolta sui rimpatri: espulsioni dirette senza passaggio in Italia

ROMA – Il primo volo charter è decollato da Roma, ha fatto scalo a Tirana per imbarcare i migranti detenuti nel centro di Gjader, e ha proseguito direttamente verso Il Cairo. Con questa operazione, avvenuta nel maggio 2025, il governo italiano ha inaugurato una nuova fase nella gestione dei centri per migranti in Albania: quella dei rimpatri diretti, senza passaggio sul territorio nazionale.
La decisione segna una netta inversione di rotta rispetto alle dichiarazioni del Viminale di appena un mese prima, quando si assicurava che tutti i migranti trasferiti nei centri albanesi sarebbero stati riportati in Italia prima di qualsiasi rimpatrio. Un cambiamento di strategia che ha immediatamente acceso il dibattito politico e sollevato pesanti interrogativi di legittimità costituzionale ed europea.
Le contestazioni della magistratura
A guidare l’opposizione giuridica alla nuova prassi è la stessa Cassazione, che ha definito il Protocollo Italia-Albania in “totale contrasto con l’intero impianto della Direttiva rimpatri”. La Suprema Corte ha puntato il dito in particolare contro la violazione degli articoli 3, 6, 8, 15 e 16 della Direttiva europea 2008/115/CE, che regola le procedure di espulsione dei cittadini di paesi terzi.
Il nodo centrale della questione riguarda la giurisdizione. Secondo la normativa europea, il rimpatrio può avvenire solo verso il Paese d’origine, un Paese di transito o un Paese terzo scelto volontariamente dal migrante, ma deve sempre garantire il rispetto dei diritti fondamentali e la giurisdizione effettiva dello Stato membro che procede all’espulsione.
La Cassazione ha chiarito che il centro di Gjader non può essere considerato una “porzione del territorio italiano”, come invece sostiene l’esecutivo. Di conseguenza, ogni operazione di polizia che avvenga al di fuori di quelle mura – ad esempio all’aeroporto di Tirana – ricade automaticamente sotto la giurisdizione albanese, privando i migranti delle garanzie previste dal diritto dell’Unione Europea e da quello italiano.
Le reazioni dell’opposizione
L’operazione ha scatenato immediate proteste da parte dell’opposizione parlamentare e delle associazioni per i diritti civili. La deputata del Partito Democratico Rachele Scarpa ha sollevato il tema della violazione dell’articolo 13 della Costituzione italiana, che garantisce il pieno controllo di legittimità sui provvedimenti restrittivi della libertà personale solo se l’intero processo avviene sotto giurisdizione italiana.
“È un precedente gravissimo”, ha dichiarato Scarpa, “che mina alle fondamenta il sistema di garanzie costituzionali”. Le opposizioni hanno chiesto chiarimenti immediati sulle basi normative utilizzate dal Viminale e sulla compatibilità dell’operazione con la Direttiva europea 115/CE/2008.
La difesa del governo
Il Ministero dell’Interno ha respinto le accuse, sostenendo che il protocollo Italia-Albania prevede esplicitamente la possibilità di rimpatri diretti dal territorio albanese, previa comunicazione alle autorità locali. Secondo la versione dell’esecutivo, le modalità attuative sarebbero oggetto di successive intese tra i due Paesi, nel pieno rispetto degli accordi bilaterali siglati.
Il governo ha inoltre ribadito che l’operazione si inserisce nel quadro più ampio della lotta all’immigrazione clandestina e rappresenta un modello innovativo di cooperazione internazionale per la gestione dei flussi migratori.
I dubbi del diritto internazionale
Giuristi e esperti di diritto internazionale hanno però richiamato l’attenzione sulla Convenzione di Vienna del 1969, secondo cui ogni trattato in contrasto con norme imperative di diritto internazionale è da considerarsi nullo. Questa disposizione potrebbe rendere invalido l’intero protocollo Italia-Albania se dovesse risultare incompatibile con i principi fondamentali del diritto europeo.
Diverse associazioni giuridiche hanno chiesto la sospensione immediata delle operazioni nei centri albanesi, almeno fino al pronunciamento definitivo della Corte di Giustizia dell’Unione Europea, che dovrà chiarire la compatibilità dell’accordo con il diritto comunitario.
Un precedente dai contorni incerti
Il caso dei rimpatri diretti dall’Albania rappresenta una novità assoluta nel panorama delle politiche migratorie europee. Mai prima d’ora uno Stato membro aveva tentato di espellere migranti da un territorio di un Paese terzo, saltando il passaggio sul proprio territorio nazionale.
L’operazione evidenzia l’opacità e la fragilità giuridica delle nuove prassi italiane in materia di gestione dei migranti irregolari. In attesa del chiarimento della Corte di Giustizia UE, il dibattito si concentra ora sulle implicazioni a lungo termine di questa strategia, che potrebbe aprire scenari inediti nella cooperazione europea su immigrazione e diritto d’asilo.
La posta in gioco va oltre la semplice gestione dei flussi migratori: è in discussione l’equilibrio tra sovranità nazionale e vincoli europei, tra efficacia delle politiche di controllo delle frontiere e rispetto dei diritti fondamentali. Un equilibrio che, stando alle prime reazioni della magistratura e dell’opposizione, appare oggi più fragile che mai.